“5 strategie per combattere l’ansia” “La prima app per gestire il trauma” “l’ADHD come non te l’hanno mai raccontato” “10 azioni per uscire dalla depressone”.
In un mondo che si fa sempre piu complesso da vivere e significare, non mancano slogan continui a “ricette facili” per star bene, con se stessi, con gli altri, con il corpo.Fosse così facile conquistare equilibrio e salute,  come le narrazioni che ne fanno sul web e sui social, vivremmo in un mondo “utopico”, un mondo di serenità e pace globale.

In questo momento storico finalmente si parla di salute mentale e pian piano è sempre più  chiaro alla maggior parte delle persone che la salute mentale è un diritto e non un lusso.Questo è un passo avanti importantissimo e forse anche l’ esperienza della pandemia da Covid_19 è servita a “dare uno scossone alle coscienze”, basti pensare a tutte le conseguenze che ha portato nella vita delle persone, costringendole a prendersi cura anche della propria mente e delle relazioni. L’altro lato della medaglia è che questa crescente attenzione e questa costante diffusione di informazioni, non sempre validate scientificamente, tramite i social in particolare (dove “sono tutti un pó  medici, psicologi, nutrizionisti, avvocati” etc) porta con sé un rischio: quello di semplificare troppo una questione che resta complessa, proponendo “soluzioni facili” a problemi profondi e talvolta radicati nell’animo umano, come se bastassero frasi motivazionali, esercizi di respirazione o posturali o qualche app per sentirsi meglio davvero.

Ma la salute mentale non funziona così, e le soluzioni facili, se diventano l’unica risposta, possono fare più male che bene. La salute mentale è complessa e inscindibile da quella fisica e relazionale, di fatto sarebbe piú corretto parlare di salute biopsicosociale.  La mente umana è un sistema delicato e straordinariamente complesso, inscindibile dal corpo e costantemente influenzato dall’ambiente fisico, culturale e relazionale. La sofferenza psicologica, non è solo tale, coinvolge inevitabilmente il corpo, le relazioni e il modo di adattarsi al mondo.  La depressione, l’ansia, i disturbi alimentari, il trauma, che frequentemente sta alla base della psicopatologia, non sono semplici “stati d’animo negativi”, sono condizioni che richiedono tempo, supporto professionale, e un percorso terapeutico personalizzato, fatto di competenza e spessore relazionale.

Pensare che esista una soluzione rapida per ogni malessere rischia di ridurre la sofferenza a qualcosa di superficiale e di banalizzarla, facendo sentire chi sta male ancora più incompreso o addirittura colpevole per non riuscire a “stare bene da solo o in breve tempo”.



Questo approccio “smart” alla sofferenza, proposto con modalità comunicative che sanno di “positività tossica”, finisce per negare la legittimità del dolore, del disagio e della fragilità, elementi umani che vanno accolti e affrontati, non censurati o ignorati, perché danno spessore all’esperienza umana.

A mio avviso servirebbe un cambiamento culturale, non scorciatoie o soluzioni “da consumare” nel più breve tempo possibile (e per lo più illusorie). Del resto le soluzioni facili sono figlie degli stessi tempi che viviamo, nascono da una cultura che premia la produttività, l’efficienza e la performance anche nella sfera emotiva: bisogna guarire in fretta, “funzionare” bene, tornare a essere operativi il prima possibile.Questo esacerba la sofferenza, il dolore, il disagio. Perché l’essere umano non ha bisogno di evitare la sofferenza, sedarla, coprirla, aggirarla, ha bisogno di imparare a starci dentro, contattarla, significarla e trasformarla, come qualche storia virtuosa ci insegna.

Basti pensare alle più preziose espressioni artistiche, quelle senza tempo, da dove nascono i quadri di Vincent Van Gog? Cosa spinse Dante a scrivere “la divina commedia?”, come Leopardi “partorì ” quell’ “Infinito” che ancora oggi ci fa spaziare la mente e fa vibrare le corde dell’anima ? Certo, non dobbiamo per forza di cose viaggiare nel tempo per recuperare esempi di trasformazione del dolore in arte, energia vitale, bellezza, anche i nostri tempi ne sono: i testi e le canzoni di Jovanotti per esempio 🙂 La cura dell’anima richiede tempo e dedizione. La cura dell’anima richiede relazione, perché come le relazioni possono farci ammalare cosi possono curare.

Chi affronta un disagio psicologico non ha bisogno di soluzioni facili, ma di comprensione profonda, ascolto, empatia, presenza che sappia essere base sicura e certamente di competenza e professionalità. Prendersi cura della salute mentale significa riconoscerne la complessità e affrontarla con strumenti adeguati. Significa non semplificare, ma umanizzare. Perché solo così possiamo costruire una società davvero attenta al benessere delle persone, non solo alla loro apparenza.