Se transfert e controtransfert non ci fossero il terapeuta diventerebbe attore in una storia la cui trama non lo riguarda. Se così fosse i pazienti reagirebbero come ognuno di noi di fronte a un pessimo film. Il terapeuta deve in un certo senso darsi a quella trama, entrarci, pur sempre con quello sguardo Meta di chi vive in prima persona e al contempo osserva, analizza e da significato a ciò che accade nella relazione, in se e nell’altro. Se il terapeuta non si da a quella trama altrettanto non si darà il paziente.



Nella psicoterapia ad orientamento psicodinamico transfert e controtransfert sono due dinamiche alla base della relazione terapeutica. Il transfert è un fenomeno caratterizzato dal reindirizzamento inconscio dei vissuti dal paziente al/alla terapeuta, mentre il controtransfert si riferisce ai vissuti che sperimenta il/la terapeuta in relazione al paziente. Transfert e controtransfert sono una preziosa fonte di informazioni sul mondo interiore del paziente (e del terapeuta) che “passa” attraverso la relazione, asimmetrica, tra gli stessi.

Il/la paziente attraverso il transfert proietta inconsciamente nella persona del/della terapeuta, in modo più o meno intenso a seconda delle difese che si attivano in lui e del suo funzionamento, rappresentazioni, vissuti, sentimenti, emozioni, pattern tipici di interazioni e relazioni interiorizzate con le proprie figure significative, madre e padre, o in generale caregiver, nell’infanzia, ma che possono riguardare anche: fratelli, sorelle, marito, compagna, primi amori etc

I pazienti tendono quindi a riattualizzare nella relazione terapeutica i loro schemi relazionali disfunzionali ma anche aspetti legati a proiezioni del sé e bisogni profondi.
Il controtransfert si riferisce invece, come accennato, alle reazioni emotive, sentimentali e ai vissuti del terapeuta nei confronti del/della paziente.
È un concetto fondamentale della psicoterapia psicodinamica, inizialmente considerato unicamente come un ostacolo al trattamento, e solo successivamente ripensato come cruciale strumento per avere maggiori informazioni sul mondo interno del/della paziente.

I due processi sono di solito descritti come se il/la paziente agisse per primo il transfert e il/la terapeuta sviluppasse poi il suo controtransfert, osservandolo e utilizzandolo come strumento di comprensione del paziente. Modelli terapeutici più recenti sottolineano invece il fatto che la relazione terapeutica coinvolga simultaneamente entrambi gli attori e che i loro processi psicologici si influenzino reciprocamente, come in ogni flusso comunicativo e relazionale. Tuttavia è bene evidenziare il fatto che il/la terapeuta dovrebbe sempre avere una posizione Meta, ovvero di chi vive e sperimenta ma al contempo osserva e analizza, significando, ciò che accade nello spazio analitico e ciò che accade dentro il/la paziente e dentro di sé. Un/una terapeuta che analizza il proprio controtransfert dovrebbe sempre agire e reagire con l’obiettivo primo di fare il bene del/della paziente. Questo è uno dei fondamentali motivi per cui il ruolo del/della terapeuta non può in nessun modo essere messo sullo stesso piano di quello del/della paziente e la relazione è di tipo asimmetrico.


In quest’ottica per il clinico la conoscenza profonda dei propri vissuti è fondamentale per la modulazione delle emozioni che prova. Tollerare e dare significato al controtransfert può essere dunque uno dei principali problemi del percorso di psicoterapia, tuttavia saper leggerlo e utilizzarlo al meglio può diventare il punto di svolta del trattamento.


Quando il/la terapeuta, seppur con fatica e talvolta con il supporto di un supervisore, riesce ad analizzare e significare il proprio controtransfert e il transfert del/della paziente, può effettivamente, attraverso alcuni interventi come la validazione empatica, chiarificazione, la confrontazione e le interpretazioni nel rispetto dei tempi psicologici del paziente, trasformare quegli schemi in qualcosa di nuovo e diverso e far accedere il paziente all’ambiguazione della relazione terapeutica, dunque alla dimensione del “come se”. Il/la paziente potrà, in questa dimensione, pensare simbolicamente a ciò che accade nella relazione con il/la proprio terapeuta ed essere a sua volta osservatore di pensieri e sentimenti, esprimibili e condivisibili, in quanto creazioni intrapsichiche e non come percezioni fattuali incontrovertibili.



I pazienti dunque attraverso le dinamiche, inconsce, transferali, comunicano al/alla terapeuta i propri bisogni e le proprie ferite, il/la terapeuta d’altra parte si attiva emotivamente nella relazione con il /la paziente e oltre ad analizzare questi ultimi è chiamato ad analizzare anche i propri vissuti e le corde dentro se stesso che quella persona sta toccando.


In quest’ottica in un certo senso la dimensione ripetitiva del transfert e del controtransfert è inevitabile nella relazione terapeutica, questo in quanto alcuni contenuti inconsci del paziente, fatti di vissuti, credenze profonde e patogene, pattern relazionali maladattivi, possono emergere ed essere significati, solo dopo essersi manifestati nella relazione. Il /la terapeuta sentendo in relazione al paziente, osservando transfert e controtransfert, analizzando e restituendo al paziente quanto osservato e significato, può far si che dalla dimensione ripetitiva del transfert e del controtransfert si passi alla dimensione riparativa degli stessi e dell’esperienza relazionale.

E se questa ripetizione non ci fosse? Se levassimo transfert, controtransfert e, con loro, “la seduzione” stessa insita nella relazione terapeutica, come dinamica del “portare a se l’altro”?
Beh se transfert e controtransfert non ci fossero il/la terapeuta diventerebbe attore in una storia la cui trama non lo riguarda. Se così fosse i pazienti reagirebbero come ognuno di noi di fronte a un pessimo film. Il/la terapeuta deve in un certo senso darsi a quella trama, entrarci, pur sempre con quello sguardo Meta di cui scrivevo prima. Perché se il/la terapeuta non si da a quella trama altrettanto non si darà il/la paziente.
E a questo punto è doverosa una precisazione: un conto è la dimensione concreta della relazione un conto quella immaginale.
Nella relazione terapeutica qualsiasi azione o meglio detto agito che porti la dimensione immaginale nel concreto può interferire con la dimensione della cura e far saltare la fondamentale asimmetria della relazione terapeutica.

Il/la terapeuta è il setting, ovvero lo spazio/tempo della terapia, nel senso che la sua mente, la sua presenza, sono lo spazio tempo del paziente nella dimensione della cura. Ogni terapeuta ha una stanza  psichica, un uno spazio interiore sacro nel quale accoglie i suoi pazienti. Ogni paziente ha la recondita speranza di invaderlo, di sconfinare e andare oltre quello spazio. E a questo desiderio corrisponde quello, simmetrico, del terapeuta.

“Ma quello spazio è la casa di Psiche e se non viene protetta, se si fa troppo permeabile alla dimensione materica allora lei, Psiche svapora. Ma non perché la stiamo uccidendo, soltanto perché se ne va”.

E se l’amore per Psiche, primo motore della vocazione terapeutica, se ne và da dentro il terapeuta, quest’ultimo ha cessato di essere terapeutico per l’altro.

Nel caso in cui il/la terapeuta facesse fatica a gestire le dinamiche di transfert e controtransfert, e avesse la tendenza ad agire qualche immagine o vissuto in relazione al paziente, in questo caso dovrebbe in primo luogo richiedere il supporto di una supervisione e in secondo luogo valutare attentamente se, in quel caso, il bene del/della paziente sia l’invio ad altro professionista. Se l’argomento ti interessa usa il format per contattarmi